FLEETING BEAUTY BY ROBERT MORGAN

Dal 3 al 26 ottobre 2014

Per chi vive in questa città è un grande divertimento cercare di riconoscere nei dipinti i luoghi che l’artista ci presenta. A volte, senza tante fatiche si riesce a riconoscere il soggetto dipinto, altre, per chi la conosce molto bene, è possibile individuare perfino il luogo o la prospettiva da cui il dipinto è stato creato.  

Adoro visitare gli studi degli artisti, immergermi nel luogo dove vengono raccolte e create le opere. Mi aiuta ad entrare nel loro mondo. Luoghi dove puoi percepire la bellezza di un'opera incompiuta, di una pennellata decisa e spontanea che rimane nella tela ma che col tempo, per volontà e per mano dell'artista, fuggirà via allo sguardo dello spettatore. Le bozze, i dipinti abbandonati a se stessi e altri nell'attesa di essere ripresi.  

Nello studio di Robert, in mezzo a tanti dipinti, la maggior parte vedute del sestiere di Dorsoduro e vicinanze, il mio sguardo curioso insiste nel fissare le medesime prospettive. Paesaggi ripetuti da inquadrature e formati ogni volta differenti, mi raccontano una Venezia difficilmente riconoscibile. Un campanile dall'aria familiare, che non riesco a collocare nel mio immaginario, mi parla lontano e solitario.  

In una Venezia dove lo sguardo è limitato da corridoi labirintici, Robert Morgan, per qualche motivo, fino a quel momento a me ignoto, dipinge spazi aperti, scorci. Frammenti. Situazioni che danno l'impressione di portare l’attenzione da qualche parte ancora più lontano da quella ritratta.  

Viaggiando di quadro in quadro, intenta a riconoscere i luoghi da lui dipinti, mi trovo di fronte a una piccola ballerina. Una bambina dal fresco e timido sorriso che, ancora incompiuta, ha il potere di travolgere la solitudine di quei paesaggi apparentemente monotoni.

L’allegria di quel sorriso mi fa percepire come le nuvole dipinte in quella stanza cambino colore. 

Con questa bellissima immagine e con un sorriso nelle labbra, ci trasferiamo a casa di Robert per bere un tè. Salgo tre lunghe scale. Raggiungo il luogo dove New York e Venezia trovano un punto d’incontro. Lui prepara le tazze di porcellana, il piattino di biscotti, io curioso con lo sguardo la infinità di fotografie e quadri appesi ai muri. I dipinti di una New York sommersa tra ricordi, libri, vedute veneziane, fotografie di famiglia e cartoline di natale. La luce entra diretta dalle finestre, mi avvicino al mondo di questo artista, autodidatta, ospite di una Venezia più sua che di altri.  

Guardo fuori dalla finestra e si apre davanti a me il medesimo paesaggio da lui tanto ripetuto che prima in studio non sapevo riconoscere. Sono davanti al tassello che non riuscivo a trovare, alla prospettiva di una Venezia svelata solo a lui e a chi Robert Morgan concede con la sua ospitalità. Rimango assorta nel contemplare da lontano un luogo che avevo frequentato solo da vicino ma che solo lui poteva vedere in quella maniera. Capisco che la Venezia di Morgan aveva subito un mutamento interno. Non si trattava più di ritrarre Venezia, la bella, in mille modi e scorci diversi. Bastava catturare i luoghi più familiari al suo mondo. All'improvviso il fischio del bollitore avvisa che il tè è quasi pronto. Riportando la mia attenzione al momento presente, come quando ho incrociato il sorriso di quella ballerina nello studio.

Robert Morgan dipinge una Venezia intima, la luce interiorizzata dei luoghi che frequenta. La Venezia che vede quando il mattino apre gli scuri, quando beve il tè nel salotto. Quando va a teatro. Dipinge ciò che vede nella quotidianità. Magari prende altre prospettive ma sempre di ciò che a lui è familiare. Frammenti di uno stesso paesaggio dove in attesa e in solitudine osserva con pazienza per guardare e ritrarre in continuazione un luogo quasi immutabile. Perché è il tempo e il trascorrere della luce a rendere diverso ciò che apparentemente non è. É nella attesa della contemplazione della luce che ci si rende conto che un tramonto non è mai uguale a un altro.

L'attesa non è qualcosa a cui la gente pensa con grande simpatia, forse perché la cultura nella quale viviamo fondamentalmente desidera la immediatezza. In effetti, la maggior parte della gente considera l'attesa una perdita di tempo, un deserto arido che si stende tra il luogo in cui essi si trovano e quello in cui vogliono andare.

Mi sembra che Robert non voglia andare da nessuna parte, lui attende attivamente, pazientemente, che la luce dell'alba e dei tramonti, si rifletta sull'acqua e gli doni quel giusto momento, quell'attimo sfuggente per trasformare il quotidiano in un nuovo dipinto.  

La parola ‘pazienza’ vuol dire la buona volontà di stare dove siamo e di vivere la situazione nella fede che qualcosa di nascosto si manifesterà.
Così, i luoghi che sembrano quotidianamente statici, irraggiungibili, lontani, si manifestano nella tela trasformandosi in effimeri attimi di luce e di penombra. Paesaggi fatti di gesti grafici e pittorici, macchie che diventano nuvole, una bambina che cresce perché è il tempo l’unico e inesorabile padrone del mutamento. 

Attimi, momenti di fugace bellezza.

Daniella P.Bacigalupo