Delia Gambarin Vassallo è veneziana e credo che l’idea di essere nati a Venezia abbia una certa fascinazione per chiunque, anche per i veneziani stessi. Qui, il quotidiano è vissuto a misura d’uomo, tempi apparentemente tranquilli ti portano a ridimensionare l’essere nel suo spazio, permettendoti di abitarlo. Venezia è bella, ma, è come se fossimo sempre e comunque dentro casa, esci di casa tua e ti ritrovi nella casa di tutti, un spazio pieno di corridoi, muri che accolgono ininterottamente case da sempre vecchie, dove lo sguardo è limitato dallo spazio e dalla luce... Magari proviene da questo il fascino che Venezia suscita in alcune persone... come se, l’assenza di un orizzonte, portasse alla incessante ricerca d’un punto di fuga. Delia è Architetto, ha insegnato nel Liceo Artistico di Venezia e alla fine degli anni novanta, una nuova prospettiva arrichisce la sua vita; così, come ha scrito, nel 2002, il critico d’arte Bruno Rosada: “ Una docente di architettura che a un certo punto della sua vita ha deciso di mettersi a dipingere per affidare alla tela emozioni e stati d’animo, e non solo, anche opinioni e concetti , idee che da tempo le urgevano dentro e che la penna non poteva esprimere e descrivere perchè si dimostrava strumento non sufficentemente adatto”. Concordo anche con quanto detto della pittoricità in Delia: “Non è fine a se stessa, bensì uno strumento operativo di mediazione e di comunicazione di quanto altrimenti resta inesprimibile” In un passato non remoto -per chi non lo sa già- Delia dipingeva mani che viaggiando e raccontando, raccoglievano sassi, conchiglie, reti e piramidi che si collegavano attraverso un filo rosso e si parlavano a gesti nella sabbia, nel cielo, tra le pietre del reale e dell’immaginario. Queste mani, di diversi colori ma sempre nude, ora non raccolgono più conchiglie, ne sassi, non vanno più in giro per il mondo, esterno. Mi sembra, che adesso, quelle stesse mani abbiano smesso di viaggiare per trovare una nuova dimensione, un nuovo orizzonte, interno. I viaggi vengono e avvengono nel quotidiano sentire, oggetti intrinsecamente carichi di simbolismo ci parlano della dimensione di una presenza costante, ma stanca, quasi passivamente attiva. Oggi, non solo vediamo le lenzuola che coprono , che nascondono chissa cosa, ma abbiamo davanti anche i guanti. Il lenzuolo, viene modellato come un origami, per costruire nel bisogno, il conforto e il faticoso sostegno di un viaggio ancora incompiuto... Ad essempio: Una mano blu, immobile, si appoggia su un corpo nascosto dalla calda luce che lo circonda, non ha paura, non ci sono contrasti, i colori si sfumano nelle piege del lenzuolo arancione che accoglie, e la mano attende. Un altra mano, gialla, sostiene un lenzuolo come se cercasse di trattenere, senza entusiasmo, senza tensione , quello che per me assomiglia ad un cervello. Ci appare ancora il filo rosso ... il filo di Penelope, che ci collega al passato ma unisce e mantiene nelle mani il presente. Allo stesso tempo, mi assale un dubbio: la mano è trascinata da questo lenzuolo? lo trattiene nel presente o lo accompagna, guidandolo nella traiettoria d’un movimento inconscio verso il futuro, ignoto? Certo, queste mani che sostengono, trattengono, vogliono essere anche contenute, sostenute e protette. Si sa, il guanto è di per sè una protezione, ma anche una barriera, lo si indossa per isolarsi da qualcosa; una volta compiuta la sua funzione lo si può sfilare o strappare di dosso, creando un vero distacco tra la volontà, l’azione e il dovere. Delia, una volta che li ha davanti li ritrae, modellando il sentimento per creare con la materia pittorica un universo parallelo... creando, nell’ intensità, nella necessità del fare, una alleggerita dimensione persuasiva. Un punto di fuga. Sono felice per lei.
Daniella P.Bacigalupo. Presentazione per Galleria delle Cornici. 26 maggio 2012
"Le mani... Stranamente, non le avevo mai pensate particolarmente, come se le dessi per scontate, ovvie; quasi la loro bellezza fose obbligata, necessaria. I pittori le hanno sempre dipinte, e disegnate. La mano che disegna la mano... fin dalla impronta magica, segno archetipo dell’essenza, sulle pareti delle caverne. Mani che danno la vita e la tolgono,che donano, ricevono, sostengono, colpiscono e si difendono. Mani che stringono le mani, che accarezzano, minacciano, pregano. Di donna (le piu belle?), di vecchio, con tutta la vita incisa, di bambino, informi, dolcissime. Le mani, ecco...! Non mi ero mai accorto di come fossero, eppure guardavo quelle che dipinge. Le mani di sua madre: le sue. Come se attraverso esse cercasse di trasmettere tutto il sentire che non riesce a contenere. Mani forti e tenere: di bimbo e vecchio insieme. Mani che s’intrecciano, si respingono o afferrano, vivaci, nervose. Con le dita che si toccano furtive, delicate, gioiose o violente, aspre. A volte, legate da un sottile filo rosso alle pietre consumate, friate, estenuate, della sua storia percorsa in giro per il mondo. Un fil rouge, come un cordone ombelicale, da cui non riuscissero o volessero distaccarsi..."
Nino Ovan Studio, 14 marzo 2008